
C’è chi fa musica per riempire le classifiche, e chi, come Pergola, la usa per raccontare mondi interiori, visioni sospese tra sogno e realtà. “STREAM!”, il suo nuovo album, è un viaggio che attraversa frontiere sonore e spirituali, mescolando elettronica, world music, rock e pop in un mosaico emotivo e potente. Registrato nei leggendari Real World Studios di Peter Gabriel e impreziosito da collaborazioni internazionali (da Simon Phillips a Ted Jensen), questo lavoro riflette il cambiamento radicale di un artista che ha lasciato i club per abbracciare l’intimità della scrittura. Dal singolo onirico “Dove il sogno va” fino alla profondità di brani come “Terra di Utopia” o “Strade Perdute”, Pergola ci porta in un universo dove il sognatore non è mai solo, ma diventa specchio di tutti.
“Dove il sogno va” apre il disco a un respiro quasi cinematografico: dove ti ha portato quel sogno?
Ad incontrare le persone. Questo è un lavoro che nasce dalla solitudine ed incontra la moltitudine, composta in primo luogo dai collaboratori che hanno impreziosito il progetto nella sua interezza. ‘’Dove il sogno va’’ fu il primo brano che nacque per questo disco, sono passati più di tre anni e sento che sono molto cambiato e cresciuto sia sul piano professionale che personale.
- “STREAM!” è un album registrato anche nei Real World Studios. Quanto ha inciso quel luogo magico sulla tua ispirazione?
Sicuramente è stata un’esperienza importante. Nei Real World Studios abbiamo inciso ‘’Dove il sogno va’’ e ‘’A presto’’ nel novembre del 2021, quando ancora non avevo una chiara idea su un possibile album. Ho respirato aria fresca e compreso un metodo di lavoro molto “internazionale” e questa è una cosa che mi sono poi portato negli anni successivi per la produzione dell’intero album.
- Hai lasciato il clubbing per dedicarti a una musica più intima. Qual è stato il momento della svolta?
Nel 2023. Sentivo la necessità di fare un passo indietro. Erano anni nei quali mi balenava l’idea di puntare su altro, ma in quel periodo cercavo di mantenere queste due vite artistiche insieme. Mi resi conto che era diventato impossibile farlo, così mi focalizzai solo sull’album e di conseguenza vidi il mio percorso nell’elettronica non più sincero ed autentico. Era arrivato il momento di fare un passo indietro e ricominciare.
- “Terra di Utopia” e “Oltrefrontiera” raccontano di fughe e nuove terre. Qual è oggi il tuo confine personale da superare?
Me stesso. Cercare sempre di migliorarmi riconoscendo i miei pregi, difetti e limiti. Credo sia fondamentale. Queste canzoni tendono a raccontare la voglia di esplorare mondi sconosciuti, di ambire ad essi; certe volte non mi riconosco nel mondo attuale, per cui la fuga sembra essere quasi una soluzione univoca, ma alla fine si scappa anche un po’ da se stessi.
- Il disco parla anche di isolamento e conflitti interiori. In che modo la musica ti ha aiutato ad attraversarli?
Rappresenta l’occasione di mettere in forma di note e parole degli stati d’animo, proprio per questo diventa uno strumento di confidenze. Sicuramente è un processo lungo e complesso che porta a scavare nell’interiorità, per cui credo che con questo album sia solo l’inizio di un’indagine personale.
- Ci sono grandi nomi tra i collaboratori, ma il cuore del progetto sei tu: quanto di Francesco c’è in ogni brano?
È un lavoro al cento per cento autobiografico, in particolar modo sui testi, nei quali ho raccontato cose che ho visto e vissuto. Ho prodotto personalmente tutti i brani, curandone arrangiamenti e composizioni, ma da solo non sarei mai riuscito a completarlo. Questo lavoro appartiene sicuramente anche ai miei collaboratori più stretti, che mi hanno sempre guidato e supportato durante la travagliata produzione.
- Se dovessi regalare una sola traccia dell’album a chi non ti conosce ancora, quale sceglieresti – e perché proprio quella?
Strade Perdute, è la canzone a cui tengo di più. Ritengo sia la migliore del disco.
Intervista a cura di Eva Berretta!